RITA BORSELLINO E LA COOPERATIVA LAVORO E NON SOLO DI CORLEONE

Il 2 marzo 2019 al Centro Studi “Paolo e Rita Borsellino” è stato un giorno di festa. Un’occasione non solo per presentare la pasta biologica della cooperativa corleonese “Lavoro e non solo”, ma anche per raccontare come si fa, lavorando i campi confiscati alla mafia, a creare un prodotto di qualità che è “il frutto della perseveranza, della libertà e della consapevolezza siciliana”.

Abbiamo mangiato la pasta, ruvida e buona come nella migliore tradizione corleonese. E si è parlato di Rita, di come il suo impegno si sia intrecciato negli anni con quello di Calogero Parisi e dei soci della loro cooperativa.

Un’avventura insieme cominciata nel ’94, in occasione della prima carovana antimafia promossa da Arci Sicilia, e proseguita nel 2002, quando la carovana guidata da Rita prende il via proprio da Corleone. In quell’occasione, Rita pianta il primo fico d’India sui terreni confiscati ai boss di Cosa Nostra. Un gesto che è il simbolo della Sicilia più onesta che si riappropria della terra che le era stata tolta.

A coltivare quei campi sono alcuni soci lavoratori in condizione di disagio psichico, mentre aziende locali si occupano di lavorare i frutti della raccolta. L’intento della cooperativa è infatti fin da subito quello di creare un prodotto che sia “a metro zero”, coinvolgendo il territorio nella produzione e condividendone con esso i benefici. Si cerca così di creare e diffondere un’immagine nuova di Corleone e del suo territorio, che sostituisca una narrazione fossilizzata sugli stereotipi della criminalità organizzata.

I terreni gestiti dalla cooperativa aumentano negli anni: ai terreni corleonesi se ne aggiungono presto altri, confiscati alla mafia nei territori di Monreale e di Canicattì.

Poi, nel 2005, arrivano i campi di lavoro del progetto “Liberarci dalle spine”. L’idea è di offrire a 35 giovani toscani la possibilità di lavorare nei terreni confiscati e di toccare con mano le battaglie e i progetti dell’antimafia. A rispondere all’appello sono in 83: per diverse settimane, durante l’estate, ragazzi e ragazze si avvicendano sui campi e nei luoghi simbolo della lotta alla mafia. Un’esperienza di lavoro, di comunità, di formazione e di crescita civile.

Sveglia prestissimo per evitare di passare sui campi le ore più calde della giornata. E poi ore di lavoro sotto il sole, ma anche feste, mangiate, musica.  incontri con personalità legate alla storia della lotta alla mafia, escursioni nei luoghi più belli della Sicilia.

“Il lavoro nei campi procede molto bene. Solita sveglia all’alba ma nessuno di noi cede, tutti contenti ce ne andiamo a lavorare al nuovo appezzamento. Ormai siamo diventati un gruppo affiatato, duriamo tanta fatica ma ci divertiamo anche. Poi è arrivato il vento a portare un po’ di sollievo al caldo torrido dei giorni scorsi”, scrive un ragazzo in uno dei “diari” che documentano l’esperienza di quella prima estate del 2005.

Un altro annota: “Rita è potuta rimanere con noi per circa mezz’ora, che comunque le è bastata per affascinarci tutti. Ci ha raccontato come la situazione sia profondamente cambiata nel corso di questi ultimi 15 anni: era veramente contenta che noi come altri ragazzi da tutta Italia avessimo deciso di venire in Sicilia a parlare di mafia, cosa che quindici anni fa era impensabile”.

Un ragazzo ricorda la visita a Portella della Ginestra: “Nel pomeriggio siamo andati a Portella della Ginestra dove abbiamo trovato ad attenderci alcuni anziani del posto che sono sopravvissuti alla strage. Con attenzione ed emozione abbiamo ascoltato le loro testimonianze. […] Alla fine appare evidente che i “misteri” legati a questo fatto tragico della nostra Repubblica sono ancora molti e che molte sono le diversi “versioni” dei fatti. Rimane certo che fu sparato contro una folla inerme e festosa di contadini che con i propri figli festeggiavano allegramente il primo maggio così come era uso fare in quel luogo da molti anni […] La cosa più triste è che molti di noi non la conoscevano, perché è uno di quei fatti, purtroppo, che difficilmente si leggono nei libri di storia delle scuole […]”

E ancora, un altro ragazzo: “Dopo cena abbiamo parlato con il Presidente della Cooperativa che ci ha spiegato come è nata e quali sono le sue prospettive di sviluppo ed abbiamo assistito ad un bel concerto con chitarra classica di un cantante siciliano. Ci hanno detto che era un grande amico di De André…in effetti lo stile ce l’aveva. Prima di ogni canzone ci spiegava com’era nata e quale storia raccontava, perché, essendo rigorosamente in siciliano, era difficile per noi da comprendere. Così anche attraverso le sue canzoni abbiamo capito meglio qual è la cultura, gli usi e i costumi di questa bella regione d’Italia, piena di storie e atmosfere uniche”.

Dopo quell’estate molti altri ragazzi provenienti da diverse parti d’Italia si sono avvicendati su quei campi, dedicando a questo progetto i giorni più caldi dell’anno, quelli delle vacanze dallo studio e del divertimento. Un’immagine che rompe con certi stereotipi ricorrenti sulle generazioni più giovani.

Oggi, a 17 anni dalla prima scommessa di Calogero e Rita, i terreni confiscati continuano ogni stagione a riempirsi di spighe e frutti. Nei campi della cooperativa si coltivano pomodori, uva, grano, legumi. Adesso tra i prodotti c’è anche la pasta, che mostra sulla confezione il viso di Rita e una sua frase: “Conosco una Sicilia che vuole cambiare davvero”. Il cambiamento, in questo caso, comincia dalla produzione di beni relazionali e dai sapori buoni della nostra terra.

Letizia Lipari, Francesca Trifirò, Marta Campo

Volontarie in Servizio civile Nazionale

Progetto L’eredità della memoria

Sede del Centro studi Paolo e Rita Borsellino

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